Chi? Cosa, si sveglia?
Tutto. La stagione. Il tiglio. La tentazione. L’idea di tirare tardi. Il profumo delle prime sere in felpa. Lo spirito da combattente. I fantasmi delle primavere passate, quello che eri da piccolo e che sarai da grande, una subliminale, periferica voglia di mare.
In ogni caso CIAO, sei su Calibri, probabilmente in vacanza, perché è il ponte di Pasqua e incredibilmente siamo arrivati in Aprile – da Dicembre che era, ci credi? ✨
Ps, hai fatto il giochino dell’altra puntata? Cosa ti è uscito come mood della tua primavera? (Vai a vederlo se te lo sei perso, e torna a votare).
Se hai risposto la numero 3 don’t worry, sei assolutamente nel giusto: siam qui per viverla, questa tremendissima stagione, ai posti di manovra ✨
Montesalto
Era una pianta eccessiva, grintosa, verdepolvere, verdegiada. Faceva dei fiori come occhi lilla, e le api giravano intente, nel caldo.
Il vialetto era rosa – color salmone, nelle fughe delle piastrelle crescevano erbe lunghe. Loro giocavano proprio sotto al rosmarino, con due bici, avanti e indietro fino alle ortensie. Lei, la sua, l'ha chiamata Millennium Falcon. Lui l'ha chiamata Tornado.
Alti nel cielo, aeroplani bianchi.
Passa il tempo, passano le cose, chiudi gli occhi al sole e sei da un'altra parte. Su una terrazza di cotto, in costume, con una sigaretta. Chiacchieri con tua sorella, occhi di oliva.
Sei in una sera frusciante, la pelle rilascia il calore del giorno. Fa fresco e le persone stanno al buio a parlare, su delle sedie di plastica. Bianche. Tutto è ombra. Le voci sono flauti.
Sei in barca con la pancia schiacciata sul ponte (a prua), la pelle prende la grana dell'asciugamano. Capelli, vento, salsedine.
E poi cos'è successo, dici tu.
Ti dico, dice lui.
Sei per via e attraversi lucciole, fino a quei quattro gradini. Dopo il crepuscolo, hai ancora le gambe nude. Una felpa sulle spalle. Ci sono le ombre viola e tutto odora. Bisogna arrivare, ma queste erbe notturne –
Quando sarai lì poi ci saranno due birre calde, e se hai culo un accendino.
In lontananza canta l'acqua.
Storie, menta e rosmarino.
Mood
Mi è piaciuto
Questo articolo uscito sul Tascabile, che parla di “Chi lavora, chi parla di lavoro, chi cerca di non lavorare per scrivere” e anche di Works (libro bellissimo, leggilo):
C’è bisogno di saper riconoscere la differenza tra un documento sociologico e un testo con estro letterario.
l’atto espressivo si inclina fino a diventare preminentemente comunicativo. Leggo e mi dico che, con la pantagruelica mole di contenuti autobiografici e testimoniali che abbiamo a disposizione nei blog, nelle newsletter, dappertutto, quando apro un libro o un libricino – come un “Quanto” Einaudi – non voglio leggere qualcosa che leggerei su Facebook.
Cosa sto leggendo
Sempre La versione di Barney di Mordecai Richler (Adelphi), e i biglietti dei biscotti della fortuna, molto più acuti dei Baci Perugina
Cosa sto ascoltando
Lana del Rey, Radiohead, la pioggia di notte, i passi sotto la finestra di giorno (è tornata la stagione delle chiavi che girano nei vecchi portoni, delle persiane spinte in fuori con energia, delle rotelline dei trolley sulle pietre e giù dalle scale, delle voci out of context che riecheggiano nel sole)
A cosa sto pensando
Alla terra profumata, alla resistenza, ai gatti magri acquattati sui muretti, alle serate, a quanto è umida e aliena la spiaggia di notte, a cosa troverò nell’uovo di Pasqua 🐰
E tu?
(Ce l’hai l’uovo di Pasqua, vero?)
Contributi esterni
(A proposito di La viaggiatrice leggera, Katharina Von Arx, L’orma editore. Articolo di Margherita Di Carlo.)
Mi sono imbattuta in questo libro per caso, come avviene nelle migliori occasioni. Non conoscevo questo nome, ma diciamo che subito mi è stato simpatico: Katharina Von Arx, mi ha forse suscitato un riverbero interiore, connesso a Santa Caterina, dove ho la casa, e agli Archi, oppure alla Rocca (etimologia classica, le parole sono famiglie di significati complessi. Generano nel nostro interiore fiumi carsici che emergono). Indubbiamente, anche il titolo ha fatto il suo: La viaggiatrice leggera, ma che meraviglia, io stessa anelo a esserlo, o per lo meno, ho la profonda aspirazione a tornare ad esserlo.
Dato che ho uno spiccato senso per l’immagine, e per la forma, che spesso mi arriva ben prima del contenuto, un cenno desidero farlo anche nei confronti della copertina: nei toni dell’azzurro, con un delizioso ritrattino in bianco e nero dell’io narrante (che cela l’autrice stessa), che ha studiato arte a Vienna, un piccolo cammeo di una semplicità struggente, corredato dalla frase, intrisa di implicito humour “Questa sono io, così come sto appesa in camera di mia madre, a Zurigo”.
L’io narrante dunque: si svela subito, candidamente, al lettore, una giovane svizzera di 25 anni che per l’appunto sta studiando arte a Vienna, ma che un giorno, afflitta da un’intensa quanto straniante sensazione di insoddisfazione, nutrita di un’inspiegabile profonda inguaribile malinconia, decide di ritornare a casa a trovare la madre a Zurigo “facendo il giro largo, verso Oriente”. Lei stessa definisce questa forma particolare di spleen con queste parole: “malinconia di lontano, anzi più semplicemente, mallontano”.
Il viaggio è lunghissimo, imbastito alla bell’e meglio senza molto denaro (anzi, nella quasi assenza di esso), e prevede l’imbarco a Genova verso il Nordafrica, l’Egitto in particolare. Ma dopo la Sfinge, i templi, i cimeli antichi e il caldo esagerato, le mete seguenti saranno sempre più distanti ed esotiche: l’India, la Cina, il Giappone. Da ultimo, prima di rientrare in Europa, gli Stati Uniti, la nuova frontiera della modernità.
Il periodo storico in cui si svolgono queste avventure, che assai spesso sono vere e proprie peregrinazioni irte di ostacoli e di incertezze su qualsiasi livello, da quello pratico a quello esistenziale, è il secondo dopoguerra, la prima nave presa parte il 2 agosto 1953. Si tratta dunque di un mondo da poco uscito da uno sconvolgente conflitto, un momento storico in cui tra l’Europa, gli Stati Uniti, l’Egitto, la Cina, il Giappone le differenze sono abissali sotto qualsiasi punto di vista. Non è un mondo globalizzato, e nemmeno connesso. Sembra banale ma dobbiamo tenerlo presente: la prospettiva storica è importante. Noi oggigiorno, specialmente se di fascia anagrafica “recente”, tendiamo a spalmare sul passato il nostro presente.
Il romanzo è un inanellarsi ironico e a volte spiazzante di vicissitudini, e il tratto che più sorprende è la paciosa capacità di questa protagonista di districarsi in un reticolo intricatissimo di incontri, richieste, proposte che le capitano e le piovono di continuo sul capo. Sono tutti uomini quelli che la accostano, a parte qualche raro umano scambio con donne (per esempio qualche indiana di bellezza straordinaria, la moglie di un maharaja, oppure qualche geisha giapponese, intenta nei suoi complessi rituali): il tema del rapporto uomo-donna, anzi per la precisione uomini-donna, è un leitmotiv del libro, ed è condotto con un’arguzia e una delicatezza davvero encomiabili.
L’avventura sentimentale oppure a sfondo erotico aleggia in ogni pagina, che siano mercanti, oppure uomini d’affari, che siano occidentali trapiantati all’estero, oppure “indigeni” dell’Egitto, dell’India, della Cina, del Giappone, il succo, la sostanza di questi inciampi è sempre uguale. Gli uomini sono alquanto meravigliati del fatto che lei viaggi così, in sola compagnia della sua sacca con tre cambi di vestiario e un ukulele, e immediatamente reagiscono innanzi tutto rimproverandola, cioè facendole sentire quanto avventato e sbagliato sia quel suo allontanarsi da casa, quanto sia assurdo e fuori luogo quel viaggio per il quale non esistono altre motivazioni se non quelle di una scontentezza interiore, di una voglia di “qualcos’altro”, dunque niente di necessario, di congruo al suo essere giovane donna di Zurigo nel 1953.
Insieme ai rimproveri, poi si determinano una serie di altre reazioni: desiderio di aiutarla, desiderio di approfittarsene, desiderio di sposarla. Questo del matrimonio è un motivo ricorrente, ci si stupisce del fatto che uomini che non la conoscono affatto le chiedano improvvisamente di sposarli, ma forse è più naturale di quanto possa sembrare. Scorrono sotto i nostri occhi relazioni che durano lo spazio di una sera, di una giornata, o poco più, e sono sempre raccontate con un tocco lieve, ironico, sottile.
La protagonista, con il suo fare quieto ma determinato, riesce sempre a venir fuori da qualsiasi inghippo, e qualcuno poi le piace anche, ma il testo su questi ipotetici sviluppi è completamente reticente. Penso che sia la maniera svizzera di affrontare la materia, e io l’ho molto apprezzato, come se anch’io per questi risvolti fossi un po’ svizzera, anche se per origini non lo sono affatto.
Ogni volta che riceve sostegno pratico da qualcuno, l’io narrante sa essere a suo modo riconoscente, e sa cavarsela comunque, lei stessa afferma di non essere particolarmente esperta di niente, ma di sapere fare un po’ qualsiasi cosa, o perlomeno, molte cose. Per esempio dipinge, e a volte affrescherà le pareti di qualche casa in giro per il mondo, altre volte riuscirà a ricavare un po’ di denaro vendendo i suoi quadri (che lei non considera grande arte, ma insomma), poi intuisce che la sua avventura è “vendibile”, nel senso che raccontarla ai giornali, alle radio e persino alle televisioni (negli Stati Uniti approderà niente di meno che a Hollywood) le può dare qualche moneta in tasca. Così entra nelle redazioni e negli studi televisivi, a contatto con professionisti ed esponenti di punta della nuova civiltà della comunicazione di massa. Un elemento molto interessante, soprattutto se giocato in contrasto con gli aspetti rétro delle Nazioni più lontane dall’Occidente.
La lettura di questo romanzo è interessante, piacevole, divertente, frizzante, e la vena acutamente satirica della scrittrice si scopre sempre di più, nel corso dei capitoli. È una lettura che definirei perfino corroborante e confortante allo stesso tempo.
Stupenda nella sua freschezza e vitalità soffusa la scena finale del volume, quando finalmente la giovane “viaggiatrice leggera” ritorna a Zurigo dopo quell’infinito girovagare per i Paesi più vari del mondo.
“Oh stellina! Ma sei tornata per davvero!” dice sua madre, affacciandosi alla finestra. Lei conclude, lapidaria: “Ero felice”.
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Pioverà sulla nostra Pasquetta, come da tradizione? Chi può dirlo.
Noi ci leggiamo presto✨
"Le parole sono famiglie di significati complessi. Generano nel nostro interiore fiumi carsici che emergono". Bellissima.