Ei ciao, ben risintonizzato su Calibri, il tuo nuovo posto preferito nonché raccoglitore minimal di immagini fuori contesto, foto cool, citazioni peregrine da libri e articoli in cui mi sono imbattuta o che mi sono andata volontariamente a cercare – come capita con altre cose su cui non ci dilunghiamo.
Come stai?
In modo quasi indolore, siamo arrivati a metà mese. Come corre questa vita!
E la nostra letterina si è impercettibilmente spostata su sabato (è sabato, giusto?)✨
Jamie, perché hai sentito il bisogno di imbarcarti sulla transiberiana?
"Volevo andarmene per un po’, stare solo e capire cosa avessi dentro di me. Mi sono portato solo la chitarra, i miei quaderni e una macchina fotografica. La prima canzone che ho scritto è stata Siberian Nights."
Mi aveva colpita, a suo tempo, la storia della genesi di questa canzone. Loro sono bellissimi. Carinissimi. Lei è una pazza. Con una voce della madonna.
Voce da sigaretta <3
Beh, fondamentalmente Hince, che si era rotto un dito e a seguito degli interventi per recuperarlo, era in stop e non stava più suonando, quindi per ritrovare l'ispirazione ha pensato bene di comprare un biglietto del Trans-Siberian Express, direzione Vladivostok, e ciao.
Possiamo farlo anche noi? Ci anticipiamo con una email. O un calendar. O un telegramma.
Non cercatemi – sono in fase creativa – prego cancellare tutte le mie riunioni su Teams – qui a Mosca non prende il telef... *
Montesalto
Era quel delirio di cene a scandire il ritmo. Un ritmo folle, molto più veloce di quanto non riuscissero a seguire. Perché in realtà, più che seguire, loro aprivano. Porte, portiere, lattine, scatole dei ricordi, prospettive, le cerniere dei giubbotti sdruciti, discussioni, possibilità. Ma aprivano, e tutti gli altri venivano dietro.
Allora c'era questo patto non scritto, una specie di gentlemen agreement, che a qualsiasi cosa bisognava dire, Sì.
Cena da Hugo? Ape da Vero. Poi bisognerebbe aiutare Hugo a portare la legna. Mi presti la macchina per andare da Milo? Ci sono le prove. Possiamo fermarci a casa tua? Mi vieni a prendere a lavoro e poi si fa la spesa e poi si passa da Matt in garage. Ci aspetta. Gli ho già detto che andiamo.
Si farà tardi?
Si dorme fuori.
Fuori, intanto, la terra diventava spoglia. Le giornate si allungavano, forse da altre parti, in città. L'inverno faceva la serrata.
Gennaio bianco di antigelo, di vento che urla tra gli infissi.
Le chiacchiere, le case, gli angolini, le risate, sommesse, scommesse, quanto durerà? Occhiaie sempre più viola. Suonavano intorno al tavolo, e magari erano le tre del mattino. Come la reggiamo questa vita da rockstar, senza essere rockstar.
Quando si dorme? Come si lavora?
Dopo. Domani.
Mood
Mi è piaciuto
Questo senso del colore, che ironia, che leggerezza, evviva le illustrazioni!
Cosa sto leggendo
Ho ripreso, per stemperare un po' il librone della scorsa puntata, Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf (Feltrinelli).
Infatti è un perenne rebus che non ci sia stata una sola donna a scrivere una sola parola di quella straordinaria letteratura; in un'epoca in cui la metà degli uomini, a quanto si direbbe, era capace di scrivere almeno una canzone o un sonetto. In quali condizioni vivevano quelle donne, mi domandavo; perché la letteratura d'immaginazione non è un sasso che casca per terra, come succede a volte con la scienza; è una ragnatela, legata forse da un nulla, ma comunque legata alla vita, per i quattro angoli.
Anche se il mio preferito di lei resterà sempre Orlando: come non infatuarsi perdutamente con Orlando di Sasha, la russa dalla risata argentina e l'intraprendenza di una volpe artica?
Cosa sto ascoltando
Le playlist di
saltando qua e là come un'apina su un fioreA cosa sto pensando
Sto pensaando leggero e vagaante forse un poco distaante dalla realtà
(Ma this is Carboni)
E tu?
Cosa leggi, cosa ascolti, cosa osservi in questo segmento d'inverno che lascia già il passo alla luce?
Ospiti
Invitata speciale di questa puntata è una pubblicazione che parla di "boschi che conoscono le risposte. Boschi di pietra con le labbra serrate" e non solo. La copertina, creata da Lisa Gelli, mi ha ricordato il primitivismo onirico di Chagall. Il libro è Piccolo corpo (Barta Edizioni, 2022). Risponde Gaia Tarini.
• Tu lavori con le parole, come sei approdata alla narrativa, alla stesura di un romanzo tuo?
Non è stata una decisione ponderata. Avevo accantonato da qualche mese l’idea di un lungo romanzo sulla mia famiglia; molte cose della mia vita erano cambiate e mi ero trasferita in un’altra città. Un impulso misterioso mi ha fatto scrivere uno dei capitoli centrali di quello che sarebbe diventato Piccolo corpo. Nell’arco di venti giorni poi è successo tutto: abbiamo iniziato a leggerlo ad alta voce, a sistemare quello che non andava, e io ho scritto la parola fine. Poi l’ho spedito ad Andrea (Settis Frugoni, direttore editoriale di Barta) e solo a quel punto, dalla sua risposta, ho capito che sarebbe diventato un libro.
• Da cosa è nata la storia raccontata in Piccolo corpo?
È iniziato con la descrizione di una scena familiare – una donna che annuncia al proprio compagno di essere incinta –, pensando ai miei genitori e a un evento personale che non mi era mai stato raccontato. Da quel momento, la storia più che essere scritta si è fatta scrivere. Non avevo un’idea precisa della struttura; mi premeva di più esprimere alcune tematiche che per me erano, e sono tutt’ora, cruciali: l’elaborazione – o il diritto alla non elaborazione – di un trauma, l’insuperabilità di certi dolori, la sofferenza psicologica, il tema della genitorialità, il bisogno di ripensare la famiglia non come imposizione ma come scelta, la perdita, forme alternative di felicità rispetto a quelle che tenta di imporci la società attuale.
• Cosa ne pensi dell'autofiction? Che rapporto c'è tra vissuto personale e trasformazione in materia letteraria?
Sono convinta (forse ingenuamente) che la scrittura che nasce dall’esperienza, la capacità di narrare eventi o sensazioni a partire da un vissuto, sia sempre più intensa, più autentica. In Piccolo corpo – che in fondo si basa su una vicenda pressoché inventata – c’è molto della mia vita: dialoghi, luoghi, persone, desideri. Credo che i grandi scrittori si riconoscano proprio dalla capacità di trovare un equilibrio tra la realtà e un immaginario. Ci sono molte cose che non possono essere scritte senza averne fatto esperienza; un po’ come il “mistero” Elena Ferrante: uno scrittore non potrebbe mai scrivere romanzi simili, semplicemente perché non potrà mai vedere la vita da quella particolare prospettiva.
• Il tuo romanzo è stato paragonato a una fotografia: secondo te che hanno da dirsi la fotografia e la scrittura creativa?
Credo abbiano molto da dirsi. Penso per esempio al lavoro di Ghirri che accompagna il viaggio di Gianni Celati lungo le sponde del Po: chi ha letto il libro saprà che è impossibile fare esperienza di quelle pagine senza vederle sotto forma di fotografia. Scrivere bene significa anche guardare il mondo con attenzione, lavorare per immagini e giocare con linguaggi diversi per restituire qualcosa che nasce nel segno di un impulso, in questo caso visivo, e si trasforma poi in qualcos’altro, cioè la scrittura.
• Chi è Gaia
Fatico a definirmi una scrittrice. Preferisco dire che sono un’editor meticolosa, una pseudo traduttrice entusiasta, una persona che legge molto (ma sempre meno di quanto vorrebbe). Lavorare “un passo indietro” per il bene della buona scrittura è quello che mi interessa davvero. Forse non sembra, ma alla fine sono un animale abbastanza schivo. Del resto sono nata in Umbria.
Ricorda: proposte di presentare qualcosa di tuo o che ti piace su Calibri sono bene accette. Commenta o rispondi a questa email, sarà bello✨
Se stai leggendo per motivi del tutto casuali, sei capitato qui senza sapere come o questa newsletter ti è stata inoltrata da qualcuno che chiaramente ti ama E vorresti riceverne altre, puoi iscriverti qui:
Prima di salutarci, voglio ringraziare tutte le persone che si sono iscritte a Calibri tra la puntata precedente e questa: ciao, benvenuto!
Noi ci leggiamo presto✨